MOLTE DONNE CON DOLORI PELVICI HANNO L’ENDOMETRIOSI. E NON LO SANNO.

Annalisa entra in ambulatorio salutando con un sorriso appena accennato. Capisco subito che è turbata, ma la faccio prima accomodare di fronte a me e, tra una battuta e l’altra, cerco d’instaurare un rapporto di fiducia. La madre, che è con lei, mi aveva preannunciato telefonicamente il motivo della visita. Annalisa, 27 anni, da tempo non ha più una vita normale ed è molto scettica. Fortissimi dolori al basso ventre, dolori pelvici cronici, la torturano da oltre tre anni. Un male profondo e lancinante, che ultimamente non si allevia neanche con gli antidolorifici che pure, in passato, le concedevano qualche ora di benessere. Dolori che si accentuano moltissimo nei 3-4 giorni precedenti al ciclo mestruale, fino a raggiungere un livello tale d’intensità da impedirle di riposare, di svolgere le solite attività quotidiane, di uscire e condurre una normale vita sociale. Trascorre gran parte della giornata rannicchiata sul letto. Ha fatto già numerose visite specialistiche, diverse ecografie e parecchi esami del sangue. L’ultima ginecologa che ha consultato le ha anche prescritto un contraccettivo orale che, però, non ha attenuato i sintomi. Anzi, ultimamente sembrano addirittura aumentati. Qualcuno ha insinuato che il dolore fosse solo frutto della sua immaginazione. Si è sentita presa quasi per pazza. Il suo tono di voce, nel raccontarmi questa odissea, è flebile e concitato. Mi racconta, non senza un po’ di vergogna, di come soffra durante i rapporti sessuali col fidanzato, rapporti che oramai sono diventati quasi un miraggio. E di come perfino la defecazione le procuri un enorme fastidio.
Una rapida occhiata al fascicolo di esami e di prescrizioni, una visita ginecologica difficile perché oppone molta resistenza, un’ecografia transvaginale che, obiettivamente, rivela poco, ma il fatto che alcune manovre che eseguo con la sonda acuiscano violentemente il dolore, mi danno già un’idea sulla causa della sua sofferenza. Si, Annalisa è affetta da endometriosi. Una patologia molto diffusa tra la popolazione femminile (circa una donna su dieci ne soffre), che per il suo esordio subdolo e per la scarsità di segni obiettivamente evidenziabili risulta spesso misconosciuta. Tanto che la diagnosi è quasi sempre ritardata di anni. L’endometriosi è la causa più frequente di dolore pelvico cronico nella donna in età fertile ed è una delle più frequenti cause d’infertilità. Ma che cos’è? Come si forma? E, soprattutto, come si cura?
La mestruazione è la perdita dell’endometrio che la donna ha mensilmente. L’endometrio è il tessuto che riveste tutta la cavità uterina e che modifica il suo spessore durante il mese. Se avviene il concepimento, lo spessore aumenta affinché sia preparato per accogliere l’embrione nei suoi primi stadi di sviluppo, affinché si impianti e trovi nutrimento per continuare a crescere. Se, tuttavia, il concepimento non avviene, l’endometrio, circa due settimane dopo l’ovulazione, si sfalda e fuoriesce dall’utero e dalla vagina sotto forma di mestruazione. Dopo di che comincia a crescere daccapo per il mese successivo, e così via.
L’endometrio, per diversi meccanismi ancora in parte ignoti, può “migrare” in altre zone dell’addome della donna, come ovaio, tube, peritoneo, intestino, ecc. creando ogni mese delle “mini-mestruazioni” in zone sbagliate, dove provoca dolori e danni. Può migrare addirittura nella parete muscolare dell’utero stesso (adenomiosi). Ecco che, mese dopo mese, la somma di questi sanguinamenti interni porta, in alcune donne, ad un aggravamento della normale fisiologia dell’apparato riproduttivo con la possibile formazione di cisti ovariche (cosiddette “cisti cioccolata”, perché il sangue contenuto al loro interno assume il colore e la consistenza della crema di cioccolata), all’infiammazione cronica delle tube con loro possibile chiusura (impervietà tubarica, importante fattore di sterilità), all’infiammazione dell’intestino e degli spazi tra vescica e utero, o tra vagina e retto dove possono svilupparsi dei noduli estremamente dolenti. L’infiammazione provoca spesso anche aderenze tra gli organi, che finiscono per “incollarsi” tra loro danneggiandone ulteriormente la regolare funzionalità.
Si va da un grado lieve a un grado severo (endometriosi profonda). La stadiazione viene effettuata in base all’estensione della malattia, che necessita spesso dell’ausilio di alcuni markers ematici, come il CA125, che risultano spesso aumentati. Anche l’ecografia pelvica transvaginale, in mani esperte, è un formidabile strumento di stadiazione, persino superiore alla risonanza magnetica nucleare. Ma la metodica cardine è la laparoscopia, un intervento chirurgico col quale si riesce a “guardare” all’interno dell’addome mediante uno strumento a fibra ottica (laparoscopio) per vedere ciò che, con altre metodiche, non è possibile vedere (laparoscopia diagnostica). Contemporaneamente, è possibile utilizzare sofisticati strumenti chirurgici, senza tagliare l’addome, ma utilizzando 3-4 fori di accesso attraverso la cute, i quali consentono di operare come, e talvolta più efficacemente di un intervento chirurgico tradizionale. I focolai di endometriosi vengono aggrediti e distrutti, cercando di risparmiare il più possibile i tessuti sani degli organi interessati per restituirne la funzionalità (laparoscopia operativa).
Spiego tutto questo ad Annalisa e giungo alla fatidica domanda, fondamentale per decidere la strategia terapeutica: desideri una gravidanza in questo periodo, o no? Devo chiederlo perché le cure farmacologiche dell’endometriosi sono fondamentalmente di soppressione dell’ovulazione e della mestruazione, quindi anti-gravidanza. Mi risponde che, in questo momento, il suo unico desiderio è quello di eliminare il dolore. E, semmai, riprendere anche una vita sessuale per lo meno accettabile, senza l’incubo di soffrire le pene dell’inferno dall’inizio alla fine di ogni rapporto. Cerco di rassicurarla sul fatto che abbiamo delle buone chance di riuscirci, che oggi esistono farmaci creati appositamente per combattere l’endometriosi. E altri ancora sono in fase di studio. Che associando la terapia farmacologica a stili di vita e a una dieta adeguata, anche ad integratori specifici, possiamo ottenere ottimi risultati. Mi guarda e annuisce, si capisce che non ne è affatto convinta. Insisto. Le racconto di come altre ragazze prima di lei fossero scettiche e poi abbiano dovuto ricredersi. La madre dice che lo spera, che non ce la fa più a vederla così. Mi confessa, con occhi lucidi, che la figlia ha manifestato occasionalmente addirittura il desiderio di compiere gesti estremi. Vuole che Annalisa torni a sorridere. Presento loro un opuscolo dell’associazione italiana endometriosi (A.I.E. onlus), che svolge un’importante opera di informazione e comunicazione sul tema. Organizza anche corsi di autogestione. “I corsi di autogestione e formazione sono programmi di self-management nati negli Stati Uniti e nel Regno Unito, grazie al contributo degli esperti della Stanford University e della Coventry University, che hanno lo scopo di aiutare la donna a disinnescare il circolo vizioso della sofferenza apprendendo tecniche di controllo del dolore e degli stati emotivi correlati, da utilizzare nel proprio quotidiano per migliorare la propria qualità di vita” (dal sito web dell’associazione). Notevole anche l’attività dell’Associazione Progetto Endometriosi (A.P.E. onlus), presente su quasi tutto il territorio nazionale, che, “attraverso il progetto INFORMENDO, grazie all’aiuto concreto dei gruppi di AUTO MUTUO AIUTO, con l’organizzazione di convegni e manifestazioni pubbliche, pensa alle donne di domani creando consapevolezza nelle donne di oggi” (dal sito web dell’associazione).
Il mio invito a prendere contatti con altre donne affette dalla stessa sofferenza sortisce già un primo effetto, quello di far sentire Annalisa meno sola. E chi soffre di endometriosi si ritrova spesso da sola. Da sola con il proprio dolore. Ma insieme si può ripartire. So che è un percorso impegnativo, però so anche che ce la possiamo fare.

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